Scienza, Coscienza e Dio
Scienza, Coscienza e Dio. Esiste una relazione tra questi concetti o rappresentano qualcosa di completamente separato?
L'argomento della coscienza è decisamente delicato e complesso. Non si tratta di qualcosa che può essere misurato come un oggetto materiale e, d'altra parte, le incertezze dell'esperienza soggettiva interferiscono con gli sforzi dell'uomo di giungere ad una sorta di verità universale. Così la scienza ha deliberatamente escluso la coscienza dall'oggetto dei propri studi.
Analogalmente, la scienza moderna non ha mai dato alcuno spazio al concetto di Dio, limitandosi ad analizzare lo spazio e la struttura profonda della materia. L'Universo pare funzionare alla perfezione, senza alcun bisogno dell'intervento di un ipotetico Dio.
Tuttavia oggi le cose stanno cambiando. Mentre i vecchi paradigmi iniziano a dissolversi, la scienza è in procinto di espandere il suo campo di applicazione.
Un paradigma scientifico è l'insieme delle ipotesi entro le quali una determinata teoria si sviluppa. La teoria quantistica, la teoria dell'evoluzione di Darwin sono esempi di paradigmi scientifici.
Tuttavia, nel corso del tempo i paradigmi si modificano. Per quasi duemila anni la fede di Platone nella perfezione del moto circolare ha dominato la scienza della meccanica. Nel XVII secolo furono le leggi del moto di Newton a modellare il paradigma dominante. Oggi, la Teoria della Relatività di Einstein è considerata in grado di descrivere accuratamente il movimento della materia nello spazio-tempo.
Purtroppo i paradigmi non cambiano facilmente. Essi sono così profondamente radicati nella cultura sociale e scientifica che raramente vengono messi in discussione. Anche eventuali prove che contraddicono la visione consolidata vengono sovente trascurate o respinte o, se non possono essere scartate, finiscono con il venire incorporate in qualche modo nel modello esistente. I credenti nel vecchio paradigma preferirebbero morire piuttosto che rinunciare alle loro ipotesi circa la natura della realtà.
Così, spesso i nuovi paradigmi riescono ad affermarsi nell'ambito di una cultura, non perché le persone cambiano idea, ma perché coloro che sono alla base del vecchio sistema di pensiero muoiono.
L'attuale visione del mondo scientifico sostiene che la materia e l'energia fisica sono le realtà primarie. Sulla base del funzionamento del mondo fisico, si cerca quindi di spiegare ogni altra cosa, compreso il funzionamento della mente umana. Questo è più di un semplice paradigma all'interno di un particolare campo di studio, è una vera e propria credenza comune a quasi ogni branca della scienza. Mettere in discussione questo paradigma significa accettare qualcosa di veramente nuovo. Non c'è quindi da stupirsi che qualsiasi prova di eventuali fenomeni "paranormali", che suggeriscono che la coscienza non dipenda dalla materia, sia ignorato o ridicolizzato. Nell'ambito di una visione puramente materialistica del mondo, semplicemente questi fenomeni non possono esistere.
Ma siamo davvero sicuri che la coscienza si origini dalla materia?
Nel trattare tale questione, sarebbe forse bene distinguere tra due interpretazioni del termine "coscienza".
In primo luogo, ci sono i vari fenomeni soggettivi e gli eventi che sperimentiamo, la nostra percezione del mondo, i nostri pensieri, le nostre idee, convinzioni, valori, sentimenti, emozioni, speranze, paure, intuizioni, sogni e fantasie. Questi possiamo chiamarli i "contenuti della coscienza ". Distinta da tali contenuti vi è poi la coscienza intesa come un mondo mentale interiore entro cui queste esperienze hanno luogo.
I contenuti della nostra coscienza possono variare ampiamente, noi vediamo cose diverse, elaboriamo pensieri diversi, proviamo emozioni diverse, crediamo in valori differenti, ma comune a tutti noi è il fatto che siamo consapevoli. Senza questa facoltà non ci sarebbe alcuna esperienza personale.
Potremmo fare un'analogia con un dipinto. L'immagine corrisponde ai contenuti della coscienza, la tela su cui è dipinta l'immagine corrisponde alla coscienza come contenitore. Una varietà infinita di immagini può essere dipinta sulla tela ma senza di essa non potrebbe esistere alcuna immagine.
Se consideriamo gli animali, essi differiscono da noi non nella facoltà della coscienza che è comunque sempre presente, ma in ciò di cui essi sono consapevoli, nei contenuti della loro coscienza. I cani ad esempio possono non essere consapevoli di sé stessi, e non possono pensare o ragionare come noi. In questi aspetti sono meno consapevoli. D'altra parte, i cani possono sentire frequenze più elevate di suono, e il loro senso dell'olfatto supera di gran lunga il nostro. In termini di percezione sensoriale del mondo circostante, i cani sono quindi più consapevoli degli esseri umani.
Se i cani hanno la facoltà della coscienza, lo stesso deve essere per gatti, cavalli, cervi, delfini, balene ed altri mammiferi. Se i mammiferi sono esseri senzienti, allora non vedo alcuna ragione per supporre che gli uccelli non lo siano.
E per quanto riguarda i rettili e pesci? Non c'è niente di particolare circa il loro sistema nervoso che suggerisca che non possiedano un proprio mondo interiore di esperienza. Allora, dove possiamo disegnare una linea di demarcazione? Ai vertebrati? Gli insetti hanno sensi e sistema nervoso, perché non dovrebbero avere anche qualche grado corrispondente di esperienza interiore? Il quadro che viene dipinto sulla tela della loro mente potrebbe essere molto diverso dal nostro, meno ricco, molto più semplice, ma non vedo alcun motivo di dubitare che esista. Sembra probabile che qualsiasi organismo che è sensibile in qualche modo al suo ambiente abbia un grado di esperienza interiore. Se un batterio è sensibile alla vibrazione fisica, all'intensità della luce o del calore, chi siamo noi per dire che non abbia un corrispondente grado di coscienza ?
Il quadro che viene dipinto potrebbe essere l'equivalente di una debole macchia di colore, in confronto alla ricchezza e al dettaglio dell'esperienza umana, ma non completamente inesistente.
Quanto possiamo andare avanti nella nostra analisi? Sarebbe lo stesso per un virus o un batterio? Non è forse allora la coscienza una proprietà intrinseca della creazione? Potremmo dire che ciò si è evoluto non è la facoltà della coscienza in se stessa, ma le diverse qualità e dimensioni dell'esperienza cosciente. Negli esseri viventi si sono evoluti gli occhi, le orecchie e gli altri organi di senso e, conseguentemente, le immagini dipinte nella coscienza sono diventate sempre più ricche e complesse. Per elaborare e utilizzare queste informazioni il sistema nervoso si è evoluto, e sono emerse nuove qualità, il libero arbitrio, l'intenzione e l'attenzione.
Con la comparsa degli esseri umani, la coscienza ha guadagnato una dimensione completamente nuova, il pensiero.
Noi tutti sentiamo che dentro di noi deve esistere uno sperimentatore, un sé che sta facendo esperienza della realtà, che sta prendendo delle decisioni, che sta elaborando pensieri. Abbiamo usato un linguaggio per etichettare quasi tutto nel nostro mondo esperenziale, così ci è sembrato naturale dare un'etichetta anche a questo sé, qualunque cosa esso fosse. Lo abbiamo chiamato "Io".
Ma che cos'è questo sé? Dove si trova? Se proviamo a cercare il sè dentro di noi tutto quello che troviamo sono pensieri, sensazioni, immagini e sentimenti. Forse quindi cerchiamo nel posto sbagliato, nel regno delle esperienze, nei contenuti della coscienza. Ma il sè, per definizione, non può essere un altro contenuto della coscienza. Piuttosto è colui che sperimenta i contenuti della coscienza medesima e non è qualcosa che possa essere percepito o conosciuto, come noi percepiamo e conosciamo altre cose. Non è un sé individuale ma è qualcosa che noi tutti condividiamo, la tela della mente.
La sensazione di essere un sé individuale unico è così convincente che traiamo un senso di chi siamo dai nostri pensieri e ricordi, dai nostri corpi e dal nostro aspetto, da quello che facciamo e da ciò che abbiamo realizzato. Ma un tale sé è sempre in balia degli eventi. Quando questo sé si sente minacciato si scatena la paura. La paura può causare stress, disturbi fisici, mentali ed emozionali. La paura che il nostro senso di identità possa essere danneggiato ci porta a giudicare le persone con cui interagiamo. Una mente che giudica, che critica ed attacca, non è una mente compassionevole ed amorevole. La paura porta anche a preoccuparsi. Ci preoccupiamo di quello che abbiamo fatto in passato, e di ciò che potrebbe accadere in futuro. Ma per tutto il tempo la nostra attenzione è rivolta al passato o al futuro e non al momento presente.
Forse la più triste ironia in tutto questo è che la costante preoccupazione ci impedisce di trovare quello che stiamo veramente cercando. Alla radice di tutto vi è il desiderio di stare bene dentro. Vogliamo evitare il dolore e la sofferenza e sentirci più in pace. Tuttavia una mente costantemente preoccupata non può essere una mente tranquilla. Gli animali, non potendo parlare, non essendo in grado di pensare a se stessi, non avendo bisogno di rafforzare un illusorio senso di identità, non percepiscono queste paure.
Vi è, sembrerebbe, un aspetto negativo nel linguaggio. Il linguaggio è inestimabile per la condivisione di conoscenze ed esperienze tra noi umani. E, il fatto di pensare a noi stessi attraverso le parole, può essere molto utile quando abbiamo bisogno di concentrare la nostra attenzione ed analizzare una situazione o elaborare progetti. Ma gran parte del resto del nostro pensiero è totalmente inutile. Se buona parte della nostra attenzione è concentrata sulle Voci nella Testa che parlano costantemente dentro di noi, non saremo in grado di notare altre cose; non ci accorgeremo di quello che accade intorno a noi. Non sentiremo il canto degli uccelli, il rumore del vento o quello della pioggia. Non saremo realmente consapevoli delle nostre emozioni, o di come si sente il nostro corpo.
Solo perché abbiamo il dono di essere in grado di pensare, questo non significa che dobbiamo farlo in continuazione. Tutti gli insegnamenti spirituali, del resto, sembrano confermare questo concetto. La maggior parte si basano su tecniche di meditazione o di preghiera rivolte appunto a tranquillizzare la mente.
La scienza ha esplorato lo spazio, il tempo e la struttura della materia ma non ha trovato alcun Dio. Ora sta iniziando a prendere in considerazione la coscienza, ha intrapreso un percorso che porterà all'esplorazione della " mente profonda ". In tal modo la scienza si potrà forse aprire all'idea di Dio, non il Dio delle religioni ma piuttosto il Dio inteso come l'origine, l'essenza di noi stessi, l'essenza della coscienza.
Del resto, chi può sapere quali saranno i paradigmi del prossimo millennio?
Una scienza che includesse lo studio della coscienza sarebbe una scienza realmente unificata. Tale scienza arriverebbe a comprendere la radice di tutte le nostre inutili paure, e forse comprenderebbe perché non viviamo la vita al suo massimo potenziale e per quale motivo non riusciano ad essere in pace con noi stessi. La conseguenza di una tale scienza sarebbe lo sviluppo di tecnologie interiori per acquietare la mente e trascendere le nostre paure. Sarebbe una scienza che ci aiuterebbe a diventare padroni anziché vittime del nostro pensiero, nella direzione di una comprensione della nostra vera natura interiore.
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